L’educazione come trasmissione di senso

Tra tutti gli esseri viventi l’uomo è quello che ha più bisogno di educazione. Alcune specie già alla nascita sanno camminare; i nostri cuccioli impiegano ca. un anno. Il cervello umano mostra una plasticità eccezionale: ancora durante l’adolescenza i circuiti neurali non completamente formati sono ancora adattabili per imparare nuovi fonemi.

A ciò si aggiunga che l’umanità ha stratificato i suoi insegnamenti in una memoria storica. Educare ci è naturale.

L’educazione tocca i grandi temi della libertà, dei valori, del sapere e della persona. Temi sottoposti sempre più a radicali trasformazioni. Considerando la velocità di questi cambiamenti si comprende perché il rapporto educativo sia anche la cartina di tornasole delle nostre contraddizioni epocali. Inoltre l’educazione è diventata un campo di conquista di attori che prima non esistevano e che entrano nelle nostre case attraverso canali che non richiedono la cortesia di bussare alla porta.

Da sempre sono esistiti enti educativi esterni alla famiglia (la scuola per esempio) accanto ad enti educativi in cui non si riconosce immediatamente un’intenzionalità come la moda, la musica, la televisione ecc.

Fanno parte di un dispositivo ampio che silenziosamente dispone i soggetti, educa senza farsi riconoscere e per questo è più difficile da decifrare. Oggi ne fanno parte anche i social. Cosa significa per un adolescente gestire le proprie relazioni su WhatsApp, la propria identità digitale su Instagram? Passare il pomeriggio al centro di un sistema di comunicazione molto diverso dallo spazio di un oratorio o di un campetto? Che tipo di soggetto questi strumenti predispongono? Non è peregrino pensare che la questione del gender attraversi il modo di mostrarsi sui social in cui il corpo non è materialmente presente. Come queste pratiche ci educano? Quali interessi muovono colossi finanziari a regalare servizi così costosi per far chattare i nostri figli? Questi mezzi sanno meglio di noi quando destargli l’attenzione con una notifica.

Tuttavia questo potente “guinzaglio elettronico” glielo abbiamo indossato noi. Il punto di inserzione di questi dispositivi sociali e pedagogici è sempre stato un nostro bisogno. Non hanno bussato alla nostra porta, perché li abbiamo fatti entrare noi.

Possiamo riconoscervi la premonizione di A. Huxley: “Una prigione senza muri in cui i prigionieri non sognano di evadere. Un sistema di schiavitù nel quale, grazie al consumismo e al divertimento, gli schiavi amano la loro schiavitù”.

Oppure possiamo con più “plasticità” non rinunciare ad educare e fare ciò che l’uomo, a differenza delle altre specie sa fare: dare senso, riconoscere quando sono utili e quando no, insieme. Solo così l’educazione sarà umanizzazione e non manipolazione. Ogni atto educativo consiste nel dare senso, dare valore facendo germogliare quello che domani chiameremo “umano”.

Marco Battaglia

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