Riflessioni sul discorso di S. Ambrogio del nostro Arcivescovo
Sono stati questi secondo me, nel discorso dell’Arcivescovo per la ricorrenza di Sant’Ambrogio, le suggestioni più provocatorie rivolte alla città. In particolare l’inquietudine, che considero punto di partenza generativo, provocazione alla personale responsabilità di uno sguardo oltre a sé, ai propri interessi, al proprio benessere. È il detonatore della coscienza applicata laddove ognuno di noi vive ed opera, è la prima ed autentica spinta a scoprire, affezionarsi, mettere a frutto i talenti ricevuti e farsi quindi carico di quell’ “oltre” rispetto alla propria dimensione solita, consolidata (che colpevolmente spesso viviamo come esaustiva).
L’inquietudine porta con sé la domanda che puo’ cambiarti il cuore: E GLI ALTRI? Ti rovescia la prospettiva, ti aiuta a superare “…la paura dell’ignoto, la paura del futuro. La paura induce a chiudersi in sé stessi, a costruire mura di protezione per arginare pericoli e nemici, ad accumulare e ad affannarsi per mettere al sicuro quello di cui potremmo aver bisogno, “non si sa mai ”.
“Gli altri” diventano allora quel “noi” che, a partire dai più fragili ed in collaborazione con la cura dei corpi sociali intermedi, si governa nelle istituzioni democratiche. Un ambito a cui le nostre comunità cristiane rimangono talvolta impermeabili, disinteressate, finanche critiche ed ostili. La politica in senso lato generalmente rimane un “oltre” vissuto come collaterale, sostanzialmente terzo rispetto alla vita comunitaria quotidiana. Una dimensione quest’ultima invece che, se non si interroga costantemente e onestamente, rischia di diventare un’area di comfort anestetizzante, paradossalmente incoerente rispetto alle ragioni stesse originarie del messaggio evangelico.
Anche lo stile richiamato dall’Arcivescovo per l’agire politico e amministrativo diventa esso stesso contenuto: “… pensieri, decisioni, interventi siano attenti alla complessità e là dove sembra produttivo e popolare essere sbrigativi e semplicisti, istintivi e presuntuosi, l’inquietudine suggerisca saggezza e disponibilità al confronto, studio approfondito e concertazione ampia, per quanto possibile’’.
Inoltre “…il realismo della speranza incoraggia a sentirsi più profondamente un “popolo in cammino”, che pratica la solidarietà non come un’appendice lodevole dell’economia, ma come un principio rivoluzionario del sistema economico”. Insomma, finche’ c’è inquietudine c’è speranza!
Luca C.