Nasciamo totalmente bisognosi di cure e restiamo dipendenti dalla cura per tutta la vita. Perché qualsiasi essere umano che inizia ad esistere, inevitabilmente anche co-esiste, esiste con l’altro.
Con il passare del tempo scopriamo che di questi altri abbiamo bisogno: bisogno dei loro abbracci e carezze, di una parola gentile, di uno sguardo di bene! Gesti che ci sono vitali e necessari.
Per vivere è necessario sentirsi dentro una relazione di cura. Papa Francesco, ad un incontro con gli studenti e gli insegnanti, svoltosi lunedì scorso a Roma, ha detto che perché ci sia la pace bisogna “prendersi cura”: l’altro, sorella o fratello, ci riguarda, sempre!
Come il samaritano del vangelo, che incontra uno sconosciuto ferito lungo la sua strada e a differenza degli altri, che avevano visto ed erano passati oltre, si ferma: “lo vide ed ebbe compassione” (Lc 10,33). Il buon samaritano accoglie il sentimento di compassione che sente dentro e comprende che quell’uomo, di cui non sa nulla, lo riguarda e se ne prende cura.
Il segreto è prestare attenzione, consentire all’altro di mostrarmi le sue esigenze ed interpretarne le necessità. La compassione, infatti, non è un atto irrazionale e istintivo: si decide di prendersi cura di qualcuno. La cura non può essere un sentimento o un’idea, ma è un atto, qualcosa che si fa, nel mondo, per l’altro. Tenere l’altro nel proprio sguardo è il primo gesto di cura.
E se ci sentiamo impotenti di fronte alla guerra e a chi ne è vittima innocente, perché da dove siamo non possiamo fare nulla, allora possiamo iniziare a prestare attenzione a chi incontriamo ogni giorno e accogliere la compassione che proviamo, trasformandola in azione concreta, in un gesto che lasci un segno e parli di cura.
La cura che salva e che sa di pace.
Laura S.