Martedì 5 marzo, nell’ambito di “Trame di comunione” abbiamo incontrato suor Maristella dell’Annunciazione, presso il monastero benedettino di via Bellotti. Una cinquantina di persone presenti ha ascoltato una riflessione bellissima, scoprendo che la comunità non è il risultato del nostro comfort, ma un dono che viene dall’alto.
Nell’anno 2000 la nostra chiesa di Gesù a Nazaret era in costruzione, don Alessandro diventava sacerdote e suor Maristella dell’Annunciazione entrava nel monastero di clausura di San Benedetto a Milano. Lei aveva dei risparmi e non potendoli portare con sé, per il voto di povertà, decise di devolverli a questa chiesa nuova: il cui nome così bello, l’aveva colpita.
Una sera di marzo, suor Maristella ci ha accolto nel monastero di via Bellotti a Milano, dove vive con le sue consorelle e dopo aver pregato insieme i vespri, ci ha dedicato delle riflessioni importanti, raccontandoci cosa significhi far parte di una comunità cristiana, con i suoi limiti e le sue risorse e a cosa una comunità dovrebbe aspirare.
Nella Bibbia si legge che “è bello e dolce vivere insieme”, ma se ripercorriamo le sacre scritture troviamo Caino e l’odio verso il fratello Abele, Marta e la sua gelosia verso la sorella Maria, gli apostoli e la loro smania di primeggiare sugli altri. Anche nelle prime comunità cristiane, così unite e piene di fede, c’erano i mormoratori. San Benedetto condanna con veemenza la mormorazione, quel chiacchiericcio fatto per ferire e creare dissidi, perché spacca la comunità dal suo interno.
Questi esempi ci dicono che da soli, con le nostre forze, non ci è possibile creare una fraternità forte e pura. Sperimentiamo inevitabilmente fatica e resistenze. La fraternità infatti è un dono, ed arriva da Dio. Scende dall’alto, come olio che profuma e addolcisce, come rugiada che scende dal monte. È un dono che scende agli uomini, ma arriva a chi impara a scendere. Come San Benedetto ripete, se tu vuoi salire verso l’alto, devi imparare a scendere la scala dell’umiltà.
Il mondo che ci aspetta si può immaginare come una città bellissima, dove regna solo perfetta armonia, nessuna rivalità, nessuna prevaricazione, né mormorazioni.
Ma seguire Gesù comporta un sì molto esigente, significa non avere una casa, “il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Chi pensa che seguire Cristo, entrando in una comunità di suore ad esempio, significhi farsi un nido, trovare una casa, una madre e delle sorelle, un rifugio tra mura alte che separano e proteggono da tutto, si sbaglia. Un monastero non può e non deve essere inteso come un nido che preserva dalle fatiche della gente che vive nel mondo. Piuttosto si entra a far parte di una comunità per farsi nido per gli altri, per diventare casa per chi vive con noi, accogliendo l’altro senza riserve, venendosi incontro, lasciandosi anche ferire dalle sue fatiche.
È necessario uscire dalla logica e dall’illusione che far parte di una comunità cristiana ci metta al sicuro, e che sia un luogo da cui si possa solamente prendere e prendere, senza dare.
Ma come è possibile farsi nido per gli altri? Il segreto è fare nido nel cuore di Gesù, tramite l’Eucarestia. Essa sola ci abilita a farci nido per gli altri. E ci sarà possibile adorare Cristo presente nell’ospite.
Anche una monaca di clausura, impara presto che Gesù non vuole essere amato nell’esclusività, in una relazione di devozione che esclude gli altri e porta all’isolamento. Gesù deve aprirti il cuore agli altri. Il monastero si trova nel mondo. Ecco perché suor Maristella era così visibilmente felice di aver accolto i parrocchiani di Gesù a Nazaret, perché attraverso i suoi ospiti sapeva di adorare Cristo.
Laura S.