Si spendono così tante parole “sui” giovani, da far scordare che decisiva è invece la parola detta “ai” giovani.
Una parola giusta, non orfana di azioni concrete, che rende chi la pronuncia autorevole in quanto modello concreto di condotta e di vita.
Non posso dimenticare quel commento che un ragazzo del Beccaria fece un giorno sulla generazione adulta del nostro tempo, confidando ad un sacerdote: «I vostri valori sono scatole vuote, perché il bene proposto da molti adulti è solo proclamato, ma spesso non vissuto».
Domenica scorsa, durante la Messa delle 10, nove ragazzi e ragazze di seconda superiore hanno fatto la professione di fede; hanno detto davanti a tutti che credono in Gesù, recitando il Simbolo Apostolico (il Credo) e promettendo di seguire il Signore nella preghiera, nello stare insieme, e nel prendersi un impegno di servizio gratuito in parrocchia o altrove, in cui testimoniare quel modo di porsi verso il prossimo che Gesù ci ha insegnato.
La loro fede non è incrollabile e ben consolidata: non hanno un insieme di certezze granitiche da esibire davanti agli altri, ma accettano di mettersi in cammino, seguendo Gesù.
Non sarà facile.
La domenica mattina dovranno alzarsi per andare a Messa, quando il 99% dei loro coetanei sta a letto dopo le ore piccole del sabato.
Giorno dopo giorno hanno scelto di dare un posto, nella loro esistenza, a un modo di stare al mondo, che non trascura la gratuità e non dimentica il prossimo, quando oggi tutto viene mercificato, e il tempo ha valore per lo più quando lo si trasforma in denaro.
Dovranno nuotare come i salmoni: controcorrente, con fatica… e tutto questo perchè hanno intravvisto qualcosa di autentico, hanno udito una Parola credibile, detta “a” loro, non “su” di loro.
E tu adulto? Che parola vuoi dire a un giovane, con la tua condotta e la tua vita?