Tempo fa, al termine del corso fidanzati, una coppia di futuri sposi mi si avvicina.
Lui mi dice pressappoco queste parole: “Alla fine non capisco come mai, se io e la mia ragazza ci amiamo, dobbiamo per forza fare un rito per sposarci!”.
Ho avuto fortuna: abbasso lo sguardo sul suo braccio, e vedo un tatuaggio che porta un nome femminile; era proprio quello della sua ragazza!
Gli dico: “Ma allora… se ami la tua ragazza… perchè hai avuto bisogno di scrivere il suo nome sul tuo braccio?”.
Lui sorride: ora ha capito; quel segno, che lui ha ritenuto necessario scriversi addosso, gli ha fatto comprendere l’importanza dei segni che compie la Chiesa. Quel tatuaggio, gli ha spiegato il perchè dei sacramenti: essi sono segni.
Adesso che ci manca la loro prossimità, adesso che siamo costretti in casa senza la possibilità di esprimere visibilmente i segni che dicono non solo la nostra fede, ma anche la presenza di Dio al nostro fianco, mi vengono due pensieri.
Il primo è: dobbiamo fare tutti i segni possibili.
E semmai, dare valore a quelli dimenticati: la preghiera prima del pasto, il segno della croce al mattino e alla sera, il segno della pace una volta ogni tanto, ringraziando il Signore se c’è qualcuno al nostro fianco, a cui possiamo dare la mano. Possiamo anche benedire, se siamo accanto a chi soffre o chi è in pericolo.
Il secondo: i sacramenti, segni efficaci e concreti della grazia, sono in questo momento impraticabili; questo però non vuol dire che Dio sia irraggiungibile!
Il vescovo di Brescia, mons. Pierantonio Tremolada, ha rivolto ai suoi fedeli una esortazione pastorale, in cui parla di un modo di praticare in anticipo il sacramento della confessione, anche senza la presenza del sacerdote (per il testo completo, visita il nostro sito: www.gan.mi.it).
Perchè se è vero che i segni sostengono la nostra fede, anche in un tempo di deserto e dolore come quello di oggi, noi, con gli occhi della fede, possiamo rievocarli e possiamo viverli.